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UN NUOVO DIACONO PER LA CHIESA

Cattedrale di San Gerardo gremita, sabato sera 20 gennaio, per l’ordinazione diaconale di Giuseppe Visconte, da sempre tra gli animatori della parrocchia di Santa Maria del sepolcro di Potenza. Un colpo d’occhio confortante, che richiamava istintivamente le grandi ricorrenze liturgiche.  Affollato anche il presbiterio per la presenza di sacerdoti e di diaconi permanenti giunti a far da corona al neo-eletto nel modo più confacente ad una comunità di fedeli, intorno all’altare. Segno che la diocesi. Tema che del resto ha fatto da filo conduttore anche durante l’omelia di mons. Ligorio. Giuseppe, 68 anni, nel suo camice bianco, simbolo del battesimo, è rimasto seduto fino al rito dell’ordinazione, su una sedia posta appena un passo avanti al primo banco dell’assemblea. Subito dietro la moglie Maristella e i tre figli (Michele Stefania e Rosangela, due ingegneri ed una psicologa) rientrati apposta da Torino per un evento familiare senz’altro fuori dall’ordinario. L’omelia dell’Arcivescovo ha avuto il tono del mandato missionario, mai come oggi tanto urgente quanto difficile nella città secolare dove pure, tuttavia, è urgente andare secondo la pastorale della “Chiesa in uscita” così cara al papa argentino. E non a caso mons. Ligorio ha ripreso le parole di Dio rivolte al profeta Giona, che hanno il sapore piuttosto acre di una ingiunzione:” alzati e vai a Ninive”; una missione, come quella di oggi, che aveva dell’impossibile: lui ebreo, “costretto” a predicare in una città pagana. E la missione definisce anche il profilo dell’evangelizzatore: “il diacono è il segno della prossimità di Dio – ha scandito l’Arcivescovo- e nessuno è ai margini del cuore di Dio; sii uomo del primo passo, – ha raccomandato al candidato diacono- uomo di riconciliazione e, se necessario, non aver paura di chiedere perdono; racconta l’umiltà di Dio che fa sempre il primo passo”. Un richiamo esplicito e concreto al ruolo di cui è segno il diacono: rappresentare ed incarnare la figura di Cristo-servo. Un richiamo che non riguarda solo Giuseppe ma in qualche modo tutta la comunità perché la diaconia è la dimensione fondamentale della Chiesa e quindi la base non solo del diaconato bensì di ogni ministero ecclesiale. E il suo ripristino come ordine a sé, avvenuto col Concilio Vaticano secondo, ha il senso probabilmente anche della “istituzionalizzazione” di una figura che ricordi a tutti la dimensione del servizio della Chiesa, di cui è icona (sconcertante per la ragione) del Dio incarnato che lava i piedi agli apostoli.  I segni dell’ordinazione: la presentazione di Giuseppe al Vescovo, ad indicare che è la Chiesa a chiamare, non ci sono autocandidature; il dialogo col Vescovo circa gli impegni che assume a cominciare dall’ubbidienza; la preghiera dell’ordinazione e l’imposizione delle mani. Infine la vestizione con i paramenti liturgici, tra cui la stola, indossata di traverso che caratterizza il diacono e che simboleggia un altro aspetto della sua particolare missione: favorire il collegamento tra Eucarestia e vita civile della comunità dei credenti, forse la dimensione più qualificante per la Chiesa, pena, in caso contrario, di ridurre la fede a fatto privato. Che è l’ambizione della città secolare, ma la negazione della Padre Nostro.

Attualmente in diocesi operano diciotto diaconi permanenti. I primi furono ordinati agli inizi degli anni 90 da mons. Vairo. Sono impegnati in un cammino di discernimento altri undici candidati secondo un percorso personalizzato, alla fine del quale ognuno sarà presentato al Vescovo per la consacrazione.

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