OMELIA NELLA SOLENNITÀ DELLA MADRE DI DIO E NELLA GIORNATA DELLA PACE
Il cammino giubilare ci sta insegnando a spalancare porte, a varcare soglie. Innanzitutto quelle dei nostri cuori, dove il mistero del Natale ci insegna che lì abita la pienezza dell’amore di Dio e la sua divinità (Cf. Col 2,9). Varcare la soglia di un nuovo anno significa alzare lo sguardo con speranza, accompagnare le nostre gioie e nostri timori dentro la concretezza di ciò che accade in noi e fuori di noi. Cosa ci riserverà la carrellata di giorni che sono davanti a noi? Come affrontare imprevedibilità e sorprese? Il discepolo di Gesù, davanti allo scorrere del tempo pone domande, senza lasciare dietro a sé l’atteggiamento di fiducia e lo stupore che sempre accompagnano il suo domani. Sappiamo che la storia e nelle mani di Dio e che non è retta dal caso o dalla imprevedibilità dell’accadere. Nella scena evangelica Luca ci riporta nel cuore della notte di Betlemme, lasciandoci un indizio importante per comprendere il senso dello stupore, che colse i pastori, e che noi accogliamo come buona notizia sulla soglia del nuovo anno. I pastori accolsero con stupore le cose dette. Così Luca riferisce tale atteggiamento, usando l’espressione greca rema, che letteralmente significa: “Parola che accade” traduzione dell’espressione aramaica dabar. Tutti quegli accadimenti diventano il senso, la direzione della vita dei pastori, che ritornano pieni di gioia; il pellegrinaggio del loro esistere. La figura dei pastori, oltre a richiamare l’immagine regale del Re nato a Betlemme, figlio di Davide, il piccolo pastore scelto da Dio, incarnano l’umiltà e la precarietà degli ultimi, di cui Luca si farà carico nel suo racconto evangelico. Anche Maria è segnalata dall’Evangelista dentro lo stesso atteggiamento dei pastori, indicando che per lei il rema: “La Parola che accade”, trova posto nel cuore. Lì Maria mette insieme tutti i pezzi delle cose che accadono nella sua vita, e comprende come lo Spirito che l’ha coperta con la sua ombra, abita il suo cuore e guida i suoi passi. Questo è l’ottimismo cristiano, non banale, che ritrova le sue radici nella mistica, senza ridurla a psicologia, recuperando la mente-cuore che nel mondo biblico è il luogo della volontà decisionale.
Un nuovo anno dunque, da pensare ed amare, senza che ci cada addosso, come una ineluttabile scommessa, e senza delegare ad altri decisioni che possiamo e dobbiamo prendere. In questo mondo complesso attraversato dalla violenza e dall’odio, dobbiamo guardare in profondità senza fermarsi alla superficie. Il male, che percepiamo dentro di noi e fuori di noi, non è una forza impersonale o anonima, è figlio delle nostre scelte, del volto e del nome di uomini e donne che esercitano le loro libere scelte. Ecco perché l’odierna liturgia propone la benedizione di Aronne (Barak) patrimonio comune con la tradizione liturgica ebraica. Dio fin dai primordi della creazione benedice l’uomo e i suoi giorni, mostrando che egli non è il suo avversario, che non gli sottrae spazio e tempo, ma è il custode dei suoi desideri, la sentinella del suo cuore, il difensore della sua vita. La benedizione fa l’uomo erede del volto e del nome di Dio. Un volto che risplende, è un volto sorridente. E come se dicessimo che Dio mette la faccia sulle cose e sugli accadimenti della nostra umanità. Un volto che s’innalza su di noi per coprirci della sua ombra, offrendoci due attributi del suo amore divino: il favore (hanan) e la pace (shalom). Nel bambino di Betlemme Dio si è fatto misericordioso (hanan) e pacificatore (shalom). Assumendo la nostra carne, Dio ha inscritto dentro di noi la sua misericordia e la sua pace. Il suo nome è misericordia e pace. Il suo nome è posto in alto sulla fronte dell’uomo, perché anche lui possa risplendere di questi attributi divini, riconoscendo nel fratello la medesima dignità.
Gli fu posto nome Gesù ricorda Luca, un nome che non viene dagli uomini, ma da Dio. Così infatti era stato chiamato dall’Angelo. In nessun altro c’è salvezza se non nel Figlio di Dio che nascendo da Donna ci ha resi figli ed eredi del Padre suo. Questo umanesimo integrale e solidale, il Vangelo lo porta inscritto nel suo annunzio. Ed è con questo Vangelo che varchiamo le soglie del Giubileo e del nuovo anno sociale che si apre. Siamo consapevoli che non ci salviamo da soli e che non tutti vogliono un salvatore: “Noi comunque, continuiamo ad annunziare Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per tutti i chiamati potenza di Dio e sapienza di Dio” (Cf. 1 Cor 1,22-23). Se l’umanità vuole raggiungere la pace, occorre liberarsi dalla violenza, da ogni tipo di violenza quella internazionale che subiamo attraverso i social media e quella che coltiviamo nella nostra società e nelle nostre relazioni. Solo lasciandoci liberare dal male, guardando e accogliendo colui che il male lo ha sconfitto nella nostra carne, assumendola e salvandola, possiamo ripetere con lui: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Solo desiderando e prendendoci cura gli uni gli altri e del bene comune, sarà possibile raccogliere le grandi sfide di oggi e raggiungere la pace e la benedizione che vengono dall’alto.
Anche la nostra terra di Basilicata, che guarda con disincanto il suo futuro, in questo nuovo anno, dovrà fare i conti con sfide sociali che fanno appello all’umanesimo cristiano integrale e solidale. La speranza dei giovani non va delusa, la ferita dello spopolamento va sanata. Si dispiegano una serie di povertà economiche e reddituali per le famiglie che rischiano di diventare strutturali. Questo è quanto emerso dall’analisi della Caritas diocesana per il 2024. D’altro canto occorre tenere alta l’attenzione e la responsabilità, nell’autentico significato del termine: dare risposte a chi chiede, e prendersi cura della domanda del prossimo, sulle sfide del mondo del lavoro, intimamente connesse allo status vitale delle famiglie e dei giovani. Da questo contesto emergono forme di precarietà e lavoro sommerso. Il mancato rispetto delle normative di sicurezza nei luoghi di lavoro, dovute a indifferenza e irresponsabilità, hanno ferito recentemente anche la nostra Comunità. La disillusione dei cittadini per l’inefficienza e i ritardi dell’amministrazione, producono disinteresse partecipativo verso la cosa pubblica e sfiducia nelle istituzioni. Davanti a questa situazione non ci si può rassegnare, ma mettersi in cammini con speranza con sguardo luminoso insieme a quegli uomini e donne che con pazienza tessono la rete ecclesiale e sociale. Sono tante le buone pratiche in atto, c’è chi investe sulla crescita nelle relazioni, nella comunicazione di saperi tra le generazioni. C’è chi ha fatto della propria vita un dono, accogliendo le sfide educative, che ci interpellano dentro questo nostro tempo carico di complessità. La via iniziata dal Sinodo e dal Giubileo, conduca i nostri sforzi dentro una maggiore comunione e concordia, perché le nostre Chiese di Basilicata, possano coltivare e custodire con franchezza quella Parola che continua ad accadere nei cuori di fedeli e di pastori.
Santa Maria del Sacro Monte di Viggiano
Madre di Dio e Madre nostra
custode degli inizi e sorella nella fede
raccogli in unità i nostri cammini
perché sia luminoso il nostro presente
e gioioso il nostro futuro.
Facciamo appello alla tua fede di donna
che continua a generare per noi l’Autore della vita.
Siamo affascinati dalla tua maternità
che strappa i cuori dalle solitudini.
Restiamo fermi sui tuoi passi di speranza
che ci spingono oltre i nostri egoismi.
Santa Maria delle soste che fermano gli affanni
Santa Maria della casa che custodisci gli affetti
Santa Maria del dono che rinnovi le relazioni
Santa Maria dello sguardo che raccogli le nostre lacrime
Santa Maria della domanda che guidi le nostre intelligenze
Santa Maria della danza che ci riporti in armonia
Santa Maria delle altezze che prepari i nostri destini
Santa Maria delle profondità che generi creature nuove
Santa Maria delle notti che accompagni i nostri desideri
Santa Maria del nuovo giorno che comincia nel tuo Figlio Gesù
con te benedetto nei secoli. Amen.