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OMELIA NELLA IV DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C IN OCCASIONE DELLA DIRETTA SU RAI 1

Siamo sulla strada della conversione, la via della riconciliazione di cui Paolo si fa banditore. Ecco perché nel cuore della Quaresima facciamo festa, in quanto la riconciliazione che ci rigenera come figli attraverso Gesù, nostra Pasqua, permette di gustare già da ora il dono della nostra figliolanza. Così, la Parola di Dio di questa domenica, nella quale risuona l’invito alla gioia (Laetare), ci immerge in un battesimo di consapevolezza, nel quale la nostra figliolanza è riassunta come dono e non come merito. Ci troviamo davanti ad una delle parabole più note e più usate. Essa suscita nel cuore di tutti emozioni, ricordi, propositi di vita. Il cuore del racconto lucano, non è nel pentimento del figlio che noi chiamiamo “prodigo”, ma nella misericordia del Padre che pervade in modo inatteso e gratuito l’intero contesto narrativo. Nel racconto lucano, Gesù viene spesso chiamato in causa per sanare relazioni familiari ferite: vedi l’episodio di Marta e Maria, o il caso dei due fratelli che litigano per l’eredita. In queste vicende, Gesù non parteggia per nessuno, ma offre un esempio agli ascoltatori, che è possibile ricucire relazioni infrante e ferite aperte.

Le parabole sono costruite su scene di ordinaria quotidianità. Un figlio che scappa, un padre che corre, un fratello che sbatte la porta. Ha un prezzo la libertà? Si può solo comprendere quando la sperimenti come un dono, come una possibilità per aprirsi all’altro. È la fatica di generare figli, che poi ti lasciano, per ritornare carichi dei loro vissuti. Di accogliere quelli che hai in casa e che scopri cresciuti all’ombra del dovere, senza il piacere di essere figli e basta. Difficile arte quella del genitore e dell’educatore, che Gesù fa fiorire in una delle più belle parabole del vangelo. La Bibbia conosce figli che mormorano nei confronti di un Dio che pretende la loro libertà. Anche qui il prezzo della figliolanza e un parto generativo, che diventa un patto di amore reciproco.

Israele comprenderà tutto questo, dopo i quarant’anni nel deserto e la tentazione di ritornare schiavi, con l’unica prospettiva di perdere la libertà. Passato il Giordano, Israele celebra la Pasqua, mangiando i frutti non coltivati. Oltre il Giordano, con la schiavitù ormai alle spalle, gusta il dono della figliolanza. Dio che ha parlato a Mosè mi ha generato come figlio. Nella durezza del deserto ha parlato al mio cuore, ora egli realizza le sue promesse. Gesù, ricorda questa straordinaria storia di amore liberante, mentre si trova a tavola, spezzando il pane con i peccatori e prestando orecchio al mormorio dei giudicanti.

Compito del discorso parabolico è quello di far venire alla luce chi sono, quali sono gli atteggiamenti del mio cuore. Gesù in questo, è una straordinaria levatrice, che fa nascere nel cuore dell’ascoltatore il vero giudizio su di sé, su Dio e sui fratelli. Sei un figlio o sei un servo? L’amore non ha prezzo, eppure lo sconvolgente messaggio di questo vangelo è indicato da quella donazione oltre misura che rivela chi è, e fino a che punto arriverà il donante. Il figlio, convinto di possedere tutto (ricchezza, felicità, autonomia), ha già perso tutto in partenza, gli manca l’essenziale per vivere: l’amore del padre, senza il quale ogni bene, ogni possesso, perdono il proprio valore e il significato di esistere. La parabola sviluppa le condizioni che Gesù ha già indicato per un’autentica sequela: “Chi di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo”.

Nella scena non si parla mai della madre. Tuttavia, la menzione di un affetto così profondo e la capacità di andare oltre la miseria, mettono insieme il vigore della fermezza e la dolcezza della carità senza limiti. La paternità, manifesta l’aspetto libero dell’amore di Dio, la maternità individua quello necessario che fonda la nostra libertà.  Il padre lascia parlare il figlio perché la confessione che esprime il pentimento fa bene, è liberante. Non accetta però le conclusioni proposte. Il padre rimane padre e il figlio ritorna ad essere tale. Le parole del padre sono sostituite dai gesti che valgono assai più di qualsiasi giustificazione. Vestito, anello, calzari, vitello, banchetto nuziale, sono i segni della dignità ristabilita non per merito ma per amore. Tale dignità ritrovata, ci fa comprendere il rapporto nuovo con il quale l’umanità riconciliata in Cristo Gesù, d’ora in poi può accostarsi a Dio. Non è più necessario togliersi i calzari per avvicinare la sua santità, ma è lui stesso che ce li fa indossare quale segno della libertà conquistata a caro prezzo.

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