OMELIA IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI
Beati, felici, santi, la liturgia ci regala in questo giorno espressioni che non sono prerogativa o eredità di pochi, ma di tutti. Tutto l’umano per vocazione è alla ricerca della felicità, ma questa si percepisce, si gusta, si realizza nel momento in cui l’uomo aderisce alla traccia che il Santo, l’unico che ha caratteristica di essere chiamato tale, ha lasciato nella nostra fragilità di creature. I santi non sono super uomini o super donne. Quelli che la Chiesa ha canonizzato uniti alla moltitudine degli anonimi cercatori dell’amore di Dio tra le pieghe della storia, realizzano la santità quando lasciano affiorare il sigillo dell’amore che Dio ha riversato nei loro cuori. Così, oggi la Chiesa non celebra una santità astratta, ideale, irraggiungibile, perfetta, ma quella che cerca i tratti dell’amore di Dio sul volto di Gesù, mescolando la quotidianità con il Vangelo come fa la donna che mischia il lievito nelle tre misure di farina. Con Gesù la santità di Dio si è mescolata con l’umano e l’umanità ha ritrovato il senso dei sui giorni e della sua felicità. Noi con tutta la Chiesa in questo tempo di grazia ci rallegriamo per la sorte degli eletti, e per il pellegrinaggio terreno dei figli generati dal fonte battesimale ed innestati nella vita dell’Eterno.
Oggi dunque celebriamo il mistero e il dono della nostra santità, del gratuito amore che in Cristo abbiamo ricevuto, della “speranza che ci purifica”. Noi pertanto crediamo “alla comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo […] – crediamo inoltre che – in questa comunione l’amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta continuamente le nostre preghiere” (CCC 962). Un duplice ascolto dunque: quello dei santi che camminano in terra, uditori di una parola che genera la fede e le opere; e dei santi in cielo che ascoltano le nostre suppliche. Una chiesa terrestre e celeste con le orecchie aperte. Queste indicazioni di un dialogo responsoriale ininterrotto, ci hanno offerto le immagini suggestive del libro dell’Apocalisse appena ascoltato. Testo abituato a lasciare che i cieli si squarcino, in modo da intravvedere il mistero di Dio e dell’uomo. Ci avvicina all’eco di quel “Canto nuovo” che risuona nella voce degli eletti come inno di lode e di vittoria sul male e sulla morte. Tale inno lo possediamo: sale a Dio da questa liturgia eucaristica, dalla fatica degli uomini e delle donne che edificano nel tempo e nella storia la bellezza del Regno; dal letto del dolore e della fragilità umana che è risorsa di misericordia e sacrario di bene; dagli uomini di buona volontà che servono i popoli nella giustizia e nella verità, da quanti custodiscono ed intonano all’unisono l’inno del creato. “Vidi una moltitudine immensa di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. Questa immagine biblica non si discosta tanto dalle moltitudini di genti che ogni giorno lasciano le loro terre segnate dalla tribolazione e dall’odio e migrano spesso alla deriva, senza meta e senza destino. È icona dell’umano che cerca la sua patria e sfugge dal potere della morte. Tutti noi ci sentiamo quella moltitudine, tutti noi vogliamo che ogni uomo, ogni donna ogni bambino abbiano la terra, la casa, gli affetti. La festa dei santi non si discosta da tutto ciò, ci insegna la legge della solidarietà, della comune appartenenza alla terra e al cielo, nel reciproco ascolto di quel grido che sale dalla terra e che bussa al cuore di Dio e dell’uomo. C’è una moltitudine di figli e di figlie che ancora oggi sono seduti ai piedi di Gesù aggrappati al monte delle beatitudini, cercatori di verità e felicità, che ce la mettono tutta a far diventare carne e sangue le parole di Gesù: beati i poveri, beati i miti, beati i misericordiosi…Già beati, non domani, in un futuro incerto e senza orizzonte; beati qui! Ora! Perché fin da ora siamo figli di Dio ed il domani è custode della nostra piena rivelazione, il volto nel volto, gli occhi negli occhi, una pienezza di comunione e di amore. Come lo sposo cerca insaziabile negli occhi della sposa la sua immagine e viceversa, così il nostro desiderio di infinito si sazierà pienamente in quel Dio i cui tratti sono visibili già ora sul volto di Gesù e dei suoi santi. Per questo motivo oggi la liturgia ci invita a pregare così: “O Padre unica fonte di ogni santità mirabile in tutti i tuoi santi”. Si! Il Dio di Gesù diventa “mirabile”, guardabile nei santi in coloro che nel pellegrinaggio terreno realizzano attraverso le beatitudini i tratti del volto del Signore. Allora niente di diafano o irraggiungibile: “meglio in cammino un po’ sporchi, claudicanti, feriti e talora stufi, piuttosto che fermi e immobili su noi stessi” (Fr. MichaelDavide). Ecco che l’annuale appuntamento con le beatitudini rimette in cammino la Chiesa, perché ogni volta che le annunzia si fa responsabile e garante del cuore vivo del Vangelo, la buona e gioiosa notizia che Dio in Gesù, ha capovolto le sorti dell’umanità aggrappata al potere, all’avere, all’apparire. I poveri, i piangenti, i miti, gli affamati, i misericordiosi, i puri di cuore, i pacifici, i perseguitati, non hanno potere, non appaiono, non dominano eppure nel riflesso dei loro occhi, nel perdurare della loro debolezza, è possibile intravvedere la luce di Dio, nelle loro mani la forza dell’Altissimo, nel loro cuore la compassione e la misericordia del Padre. È la forza trascinante delle beatitudini che quando: “vengono proclamate sanno ancora affascinarci, poi usciamo di chiesa e ci accorgiamo che per abitare la terra questo mondo aggressivo e duro, ci siamo scelti il manifesto, più difficile, incredibile, stravolgente e contromano che l’uomo possa pensare” (E. Ronchi). Nel cuore di Dio c’è una umanità bella e buona capace di generare bontà e bellezza piena di figli e figlie che camminano al ritmo delle beatitudini. Allora la santità è possibile perchè è possibile camminare sulle tracce incandescenti dell’amore di Dio che abita i nostri cuori, le nostre case, le nostre strade, che strappa la moltitudine dalla solitudine e ne fa popolo pellegrinante in terra con gli occhi pieni di cielo. “I santi e le sante sono sempre stati sorgente e origine di rinnovamento nei momenti più difficili della storia della Chiesa” (CCC 828). La Chiesa vive dei santi e con i santi, non ne potrebbe fare a meno. Non solo si rallegra per quanti hanno raggiunto questa meta dopo aver corso le fatiche dell’esistenza, ma ne genera continuamente. Essi camminano con noi, sono a nostro fianco; raccolgono spesso i desideri nascosti del cuore umano, sono guide fedeli e generose di anime, si sporcano le mani in mezzo ad una umanità fragile e ferita, sono indicatori di mete alte aiutando l’uomo a superare la mediocrità. Insomma, incarnano l’urgenza evangelica di un Regno che si costruisce con il vero e con il bene, con l’audacia ed il fascino del bello che non possediamo ma ci attrae, ci trasforma, ci trasfigura nel volto di Gesù il più bello tra i figli dell’uomo. È da questa Eucarestia che riceviamo la forza che ci fa santi, il Corpo di Cristo che nutre, guarisce e rigenera continuamente il Corpo della Chiesa, santa e peccatrice. È nell’Eucaristia che la moltitudine si riconosce come comunità di figli e di figlie che ora abitano, servono e amano la città degli uomini con lo sguardo rivolto alla città di Dio.