OMELIA IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DI SAN GERARDO MAJELLA
Mentre noi lo abbiamo scartato, Dio lo ha inviato: “A togliere di mezzo l’oppressione, il puntare il dito ed il parlare empio”. San Gerardo Majella è figlio di quello scarto che la nostra umanità genera. Non c’è posto per lui nella Società e nella Chiesa. Sono molti i no che riceve. Ma lui, è l’uomo del sì fedele a Dio e a noi. La sua fragilità ci appartiene, come anche la forza che nasce dal suo amore. Per lui c’è posto nel cuore di Dio, nel suo disegno che innalza i poveri e gli umili e li fa sedere sul suo seno, come il povero Lazzaro nel seno del padre Abramo (Cf Lc 16, 22).
San Gerardo è stato donato a questa terra di Basilicata, come riscatto dei poveri, orgoglio di quanti coltivano la terra con il sudore della loro fronte. Il suo non fu un riscatto sociale, ma del cuore. Non organizzò proteste, non si difese da umiliazioni e da ingiurie, non vantò diritti sociali, non distolse gli occhi dalla sua gente. Nella più estrema povertà si mise a servizio dei poveri, perché comprese cosa passava nel loro cuore, e che valeva molto di più il riscatto del poco, rispetto al possesso del tutto. Senza strumenti divenne lui lo strumento per il sollievo degli ultimi: da uno straccio scambiato per un tozzo di pane, ad un asino curato per la sussistenza della famiglia. Non è dai grandi progetti che dipende il cambiamento della nostra Società. È da quanta cura ci metto nell’accorgermi di chi è accanto a me e quale è il suo bisogno. Questa attenzione, genera nuove relazioni, sostiene il bene del fratello di cui sono custode e del creato di cui sono coltivatore. Così, mentre noi guardiamo i grandi benefattori dell’umanità, inventori di un potere che persegue il proprio interesse, Dio continua ad ungere uomini e donne che portano un Vangelo povero, sciolgono catene inique, tagliano le dipendenze, rimandano in libertà gli oppressi, insomma si preoccupano dell’uomo, non di quello ideale, ma quello che Dio sogna: solidale, fedele, felice.
San Gerardo questo lo aveva compreso soprattutto quando veniva maltrattato e rifiutato o come diremmo oggi noi “bullizzato”. Penso a tanti ragazzi e ragazze che in questi giorni cominciano le scuole. Per alcuni, la prima lezione non avviene nel banco o presso la cattedra, ma nei rapporti tra alunni. Molti di loro si dovranno difendere da pregiudizi, da attacchi ingrati, a volte da vere e proprie vessazioni. La prima educazione comincia dal rispetto dell’altro che non è diverso da me, ma come me, portatore di diritti e di doveri. Queste lezioni di vita non si apprendono sui libri né dalle cattedre, ma quando ci mettiamo in ascolto dell’intelligenza del cuore, quando a partire dalle nostre famiglie ci si impegna a non disprezzare o svalutare la vita dell’altro, ma offrire il pane all’affamato di affetto e saziare chi è digiuno di relazioni autentiche. La sapienza del vivere bene, che Dio ha scritto nel nostro intimo, sazierà i terreni aridi dell’anima, rinvigorirà le ossa delle nostre strutture sociali ed educative. Allora accogliere l’altro, non è questione di Ius soli o Ius scholae, quasi che devo meritarmi l’umano per vivere insieme agli altri, ma di fratellanza universale, come afferma Papa Francesco nel suo magistero. Gerardo fu molte volte bullizzato anche dai suoi concittadini di Muro. Deriso, beffeggiato, canzonato: il suo modo di fare non ci corrisponde, è troppo strano, è sempre in Chiesa, si addormenta davanti al tabernacolo, non si sposa! Davanti a quest’ultima provocazione Gerardo un giorno, con il linguaggio dei segni, caratteristica dei profeti, ferma la processione della Madonna e in pubblica piazza offre il suo anello nuziale alla Madre di Gesù. Peggio mi sento, la sua esternazione provocò l’indignazione di tutti. Ma Gerardo, con tale gesto, ha voluto mostrare la sua scelta vocazionale: Sposare Colei che ha sposato l’umanità, donando nella nostra carne il suo Figlio Gesù. Ecco, Gerardo ci insegna a sposare l’umanità. Per questo, davanti al totale disinteresse che lo circonda, lui, risponde: Tu mi interessi! Tu mi appartieni! Nel mio cuore c’è posto per te e per la speranza che coltivi in te! Possiamo dire che la statura di Gerardo è altissima, perché vive in lui la stessa passione di Gesù per la nostra umanità, il suo desiderio di unità del genere umano, la profonda cura del fratello.
San Gerardo, hai visto tanta semente sparsa tra i campi di Basilicata, torna tu, a spargere ancora tra noi la buona semente del Vangelo, del chicco che cade in terra e muore, ma come te riceve la vita, quella vera. Quella che non si vergogna di Dio e dell’uomo. Quella che non cerca la giustizia nella legge, ma l’essere guadagnato da Cristo, conquistato da lui. Proteggi la nostra Basilicata da tentazioni di autoreferenzialità e chiusura, apri i suoi confini, perché il suo nobile cuore realizzi la vocazione scritta nel suo nome: “Luce che brilla nelle tenebre e oscurità che splende nel meriggio”.