OMELIA IN OCCASIONE DELLA MESSA PER IL GIUBILEO INTERFORZE DI BASILICATA

Signori Comandanti e Ufficiali, Signor Prefetto uomini e donne delle Forze armate, Autorità civili, Rappresentanti delle Associazioni combattenti e d’arma, fratelli e sorelle. Da questo luogo di riconciliazione e di pace giunga a tutti voi il mio saluto e quello dei Vescovi e degli amministratori diocesani di Basilicata. Intendo da subito esprimere il ringraziamento per l’attenzione e la sicurezza avuti in questi giorni e per i piani di sicurezza che hanno accompagnato i funerali dell’amato Papa Francesco e che accompagneranno i prossimi eventi ecclesiali e giubilari. Ringraziamento che desidero estendere a tutti i volontari per la cura e professionalità espresse durante questi momenti significativi della vita ecclesiale e nazionale.
In questi giorni speciali della Pasqua la Chiesa ci raduna per fare memoria di Gesù morto e risorto. La forza di questo annuncio costituisce la struttura portante del secondo volume che Luca scrive, cioè gli Atti degli Apostoli. Dal racconto della prima comunità cristiana, che va edificandosi intorno alla memoria pasquale del Signore, comprendiamo come non basta solo sapere che il Maestro di Nazareth, il quale operò prodigi e segni in mezzo al popolo, è risorto, occorre fare esperienza personale della sua resurrezione. È tale esperienza che genera i testimoni, cioè coloro che portano una parola che si immerge nella loro vita e nelle loro scelte. Tale consapevolezza spinge Pietro e Giovanni ad esercitare quella franchezza nel dire con verità davanti al Sinedrio, quanto da loro sperimentato nell’incontro con il Risorto. Come per Gesù, la prima comunità apostolica non è esente dalla prova e dalla persecuzione. Giacomo sarà ucciso, Stefano sarà lapidato, non sarà fermato il sangue dei giusti che genererà i testimoni del Risorto. Il racconto di Atti riserva a Pietro e Giovanni un ruolo importante nella prima comunità apostolica, nel brano che abbiamo appena ascoltato, il ritorno dei due apostoli dopo l’arresto, è occasione di rendimento di grazie, di eucarestia appunto. E in ogni eucarestia, è lo Spirito santo il grande protagonista ad irrompere in mezzo ai discepoli del Signore, per farli testimoni della sua presenza in parole ed opere.
D’altro canto abbiamo sentito Gesù nel Vangelo parlare dello Spirito santo come colui che presiede la rinascita. Il racconto dell’inquieto Nicodemo che va dal Rabbi di Nazareth di notte, è uno dei percorsi che il Vangelo di Giovanni indica per apprendere come seguire Gesù. Come lasciarsi disarmare dalle proprie convinzioni e opinioni, per aprirsi ad una parola altra, che ha la capacità di rigenerare il cuore. Nicodemo è persona influente nel Sinedrio che era l’organo di giudizio per quanto riguardava il governo religioso di Gerusalemme. Pur svuotato da forme politiche ed istituzionali affidate al potere di Roma, tuttavia aveva una forte influenza nel mantenere per quel tempo una pace tormentata e non sempre scontata. Giovanni sceglie questa figura per accompagnare un pellegrinaggio del cuore e della fede. Nicodemo è un maestro della Parola di Dio. In fondo è uno che si lascia interrogare. I suoi appuntamenti con Gesù nella notte dicono il suo stato d’animo. Nicodemo è alla ricerca di una luce che le antiche scritture e le loro interpretazioni rabbiniche non riescono più a dare e a dire. Nel giovane Rabbì di Nazareth c’è una apertura di novità. Con Gesù riesce ad attraversare la notte, perché si è sentito amato nella sua verità di paure e di ombre. Dio ha amato la notte di Nicodemo, come ama le nostre notti, ma non ci lascia dentro il buio, ci fa venire alla luce. E sono proprio queste le parole che Nicodemo non comprende fino in fondo e che Gesù guida con abile maestria di educatore. Bisogna rinascere da Dio. Non tornare indietro, ma andare avanti verso lui, mossi da quello Spirito che non ha origine nelle nostre convinzioni, che non generiamo noi, ma che si mischia misteriosamente con il nostro spirito. Mentre ascolto questa parola comprendo oggi che sono cristiano non per anagrafe e neanche per militanza, ma per attrazione direbbe il compianto Papa Francesco. Perché sulla croce Gesù è forza di gravità che trascina verso l’alto la storia e il dolore del mondo. Ma l’umanità spesso preferisce le tenebre. Da dove questo fascino? Questo irrimediabile appiglio al male. Quando si gioca la partita da soli. Quando comincio nel mio cuore un graduale distacco da me stesso, da Dio e dal prossimo. Quando la mia è la religione della forma e non del soffio soave dello Spirito, che mi spinge fuori di me per incontrare e amare. Nicodemo non è un eroe, ma in quella sua furtiva presenza Gesù raccoglie una speranza. Nicodemo sarà testimone della crocifissione di Gesù e questa volta immerso nel buio che scende sulla terra per la morte del Redentore. Avrà il coraggio di chiedere a Pilato il corpo di Gesù, di avvolgerlo in un lino e immergerlo in una quantità spropositata di aromi. Nicodemo diventa il patrono di coloro che non si arrendono davanti all’inesorabile male del mondo, ma lo portano tra le braccia, ne custodiscono il pianto, cercano una risposta che solo dal crocifisso risorto scaturisce sorgiva.
Carissimi fratelli e sorelle questo giubileo di speranza non è un atto in più da compiere, non è una medaglia religiosa da aggiungere all’archivio delle cose sante. È una opportunità di cambiamento del cuore per noi e per questa umanità tormentata, che dobbiamo servire ed amare con intelligenza, con strategie di pace che nascono dall’ascolto, dalla visione e dal dialogo; che spezzano l’arroganza della forza fine a se stessa. Siamo chiamati ad essere presenti lì dove l’uomo è diviso, per ricondurlo all’unità della vita e del cuore. Che il Signore vi custodisca in quelle vie della pace che conducono a lui.