OMELIA IN OCCASIONE DELLA FESTA DEL BEATO EGIDIO DA LAURENZANA
Da qualche settimana la Chiesa ha intrapreso il cammino Giubilare, un incontro personale ed ecclesiale con la misericordia di Dio. Ci viene chiesto di tralasciare il nostro legame con il peccato per abbracciare la bellezza della grazia, la forza del rinnovamento che nasce dal Vangelo di Gesù e dalla sua croce nostra unica speranza. La celebrazione liturgica del Beato Egidio da Laurenzana cade mentre stiamo muovendo i nostri primi passi in questo mistero di conversione. Possiamo dire che la santità di Egidio ci accompagna e ritma questo pellegrinaggio di verità dentro il nostro cuore. I Santi nella Chiesa non sono la somma dei miracoli e non è solo la fede nei miracoli a renderceli familiari, ma è il miracolo della loro fede ad attrarre verso Colui che ci ha generati come suoi figli e sue figlie. La schiettezza di questa fede c porta per mano dentro quel Vangelo di cui i Santi si sono resi protagonisti con le loro scelte e le loro azioni.
Ora dopo qualche centinaio di anni il Beato Egidio, non solo ci è contemporaneo, ma la sua presenza profuma ancora della Parola che ha preso la nostra carne e ha illuminato il cuore dell’uomo di luce divina. Sta qui il percorso della santità, non tanto in uno sforzo che nega l’umano, ma in una elevazione del cuore che esalta la nostra umanità. Questo Papa Francesco lo ha messo in evidenza nell’ultima Enciclica Dilexit nos, “Ci ha amati”, riportandoci al cuore che è l’unificatore della persona umana, il luogo dove la voce di Dio abita e la grazia del suo Spirito agisce. Il Beato Egidio degno figlio del Serafico padre Francesco, fu attratto dal suo cuore semplice, capace di portare ogni cosa a quell’unità che solo i piccoli possono scoprire, perché a chi è come loro appartiene il Regno dei cieli.
La tendenza spirituale ad abitare una grotta, che ritroviamo nella biografia del Beato Egidio, in san Francesco, San Benedetto ed altri santi mistici, non è solo di carattere penitenziale, o di abbandono del mondo, o della pura ricerca della solitudine. La grotta è icona di quella ricerca interiore che favorisce l’incontro, che ci fa trovare l’autore della nostra vita e della bellezza del mondo, direbbe sant’Agostino: “Colui che è più intimo di noi a noi stessi”. Anche l’antico profeta Elia, abbiamo ascoltato, fugge dalla crudele Gezabele. In fondo sta fuggendo da sé stesso, da quella falsa idea di Dio che si era fatta e che abitava il suo cuore: il Profeta è il difensore di Dio! In effetti, Dio non ha bisogno di essere difeso dai nostri ragionamenti, è lui la difesa della mia vita il custode dei miei giorni. Elia abitando in una grotta nel cuore del deserto e alle pendici del monte Oreb -immagini che ci riportano al cammino del popolo di Israele nell’epopea dell’Esodo- è condotto da Dio a riconoscere nell’intimo la forza rigeneratrice della sua Parola. Elia è educato a lasciarsi incontrare da quella “voce del silenzio” che abita il suo cuore e che non si impone come il vento, il fuoco e il terremoto, ma si propone come sussurro di un amante. Solo così Elia, rivestito della forza profetica, può tornare indietro sui suoi passi ed essere rivestito di autorità divina.
Questo sussurro di amore, il Beato Egidio ha accolto nella sua vita semplice, lasciandosi elevare verso Colui che attrae a sé e scruta i cuori. Il mistico ha i piedi per terra, è consapevole della verità che abita le cose, ma si lascia attrarre dal Signore Gesù, rimanendo per sempre saldo in lui. Egidio sperimenta la beatitudine dei piccoli con la quale il Signore scrive ancora nei nostri giorni il Vangelo, ci ricorda che l’economia della nostra esistenza non è tanto nell’accumulare, ma nel dare. La prospettiva del dono di sé nel Vangelo accompagna e declina il verbo amare. Come Gesù ha dato tutto sé stesso, così il vero discepolo impara a donare, scoprendo che il vero tesoro è il cuore, ricco dell’amore di un altro. Donando noi stessi, noi doniamo colui che abita il nostro cuore.
L’anno che si apre sarà l’ottocentesimo anniversario del Cantico delle creature che san Francesco offrì come canto ultimo e grato nel vespro della sua esistenza e che il cuore serafico del Beato Egidio, ha interpretato con la sua vita semplice e affidata al Creatore e Signore di tutte le cose. Oggi anche noi vogliamo cantare le lodi di Dio in un tempo di complessità e di fatiche esistenziali. Il canto delle creature rimette l’uomo contemporaneo nella posizione giusta. Siamo dentro il meraviglioso disegno di un Dio che ama il creato e mette nel cuore dell’uomo e della donna il tono giusto per cantarne l’armonia.
Amatissimo Beato Egidio, accorda i passi delle nostre Chiese alla sequela di Cristo Maestro di vita; traccia i confini dei nostri cuori dentro l’orizzonte dalla Parola che salva; sostieni l’intelligenza della nostra umanità perché scelga l’amore che viene dall’alto, sorgente di fratellanza universale. Aiutaci a fare memoria dei poveri perché in essi abbiamo sempre presente lo sguardo vigile del Signore che ci indirizza oltre le nostre povere misure. Benedici la terra di Basilicata i suoi giovani, le famiglie, quanti dal frutto dell’ingegno e della terra, colgono l’onesto vivere dei giorni. A te affidiamo coloro che ne guidano le sorti pubbliche, siano attenti a quelle risorse che arricchiscono con intelligenza il cuore e la vita, senza dimenticare che il bene più grande posto nelle loro scelte sono i cittadini. Beato Egidio, uomo dal cuore pacificato, ti affidiamo le sorti dei popoli in guerra. Nello scenario universale i piccoli e i grandi conflitti che feriscono ancora la nostra terra, siano condotti a quella pacifica convivenza che guarda l’altro non come avversario, ma come fratello. Dalla tua piccolezza oggi apprendiamo la statura di Cristo, la profondità del suo amore, la potenza della sua redenzione.