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OMELIA IN OCCASIONE DELLA COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI

“Laudato sii, mio Signore, per sora nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scappare”. Così san Francesco cantava con profonda gioia nel vespro della sua vita, l’ultima battaglia con sorella morte. Non possiamo scappare dalla morte, eppure la fuggiamo, la esorcizziamo, la sentiamo nemica dei nostri giorni. Agostino addirittura affermava che è la malattia contratta dall’uomo alla sua nascita. Oggi noi siamo qui per fare memoria non della morte, ma della resurrezione che è sua nemica giurata. Ogni anno veniamo a visitare le tombe dei nostri cari e non accettiamo la loro e la nostra sorte, sappiamo che i loro corpi sono nelle tombe. Come stride questo con l’annuncio dato nel Vangelo alle donne il mattino di Pasqua, venute anch’esse a rendere omaggio al corpo di Gesù segnato dalla morte e dalla violenza. “Non è qui!”. La tomba è vuota. Da quel giorno al conteggio di sorella morte manca un corpo, che Paolo afferma essere la primizia dei risorti. La risurrezione di Gesù è il punto nevralgico della storia, è il nuovo inizio di tutte le cose. È la risposta alle parole del profeta Giobbe che vorrebbe incidere nella sua pelle dilaniata dalla corruzione, una parola nuova: “Io so che il mio redentore è vivo e senza la mia carne lo vedrò”. È una primitiva professione di fede nella resurrezione dei corpi che la fede ebraica matura in tempi tardivi. Quando la tradizione sapienziale del mondo ebraico s’incontra con la filosofia greca, rimane affascinata dal concetto dell’immortalità dell’anima, ma non perde la sua professione dell’unità corporale. Il corpo è sede del respiro di Dio fin dalla creazione. Corpo spirito e anima sono in profonda unità. Comincia qui a delinearsi l’idea che anche i corpi risorgono per volere di Dio. A quale scopo? Giobbe lo dice: per vedere Dio. Quel faccia a faccia di cui parla Giovanni nella Prima lettera e al quale gli fa eco Sant’Ireneo: “Gloria di Dio è l’uomo vivente, vita dell’uomo è visione di Dio”. Ecco perché le prime parole che vengono dette davanti al sepolcro vuoto il mattino di Pasqua alle donne che indugiano sono: “Vedete il luogo dove era deposto” e ancora Giovanni nel quarto Vangelo sottolinea che il discepolo amato venendo con Pietro in quello stesso luogo entrando: “Vide e credette”. Questa è la speranza che non delude: l’amore che è riversato nei nostri cuori. Questa è la speranza con la quale oggi dobbiamo accostare le tombe dei nostri cari e di quanti abitano nel nostro cuore e contemporaneamente nel cuore di Dio. Il Padre di Gesù non ci ha destinati per sorella morte, ma per il suo abbraccio di amore. Ecco perché con san Francesco non dobbiamo temere sorella morte. Ma dobbiamo temere che la nostra vita terrena sia morta, segnata dall’indifferenza verso il prossimo, votata all’odio e alla violenza, divisa in se stessa e incapace di opere buone. Temi più questa morte del cuore, che ti impedisce quando sei qui di andare oltre quello che vedi. Chiedi oggi al Signore di avere una vita riconciliata, il tuo ricordo diventi preghiera. Siamo in profonda comunione con i nostri fratelli defunti, è quello che nella nostra professione di fede cristiana chiamiamo “comunione dei santi”. Una straordinaria alleanza solidale tra noi che viviamo nel nostro pellegrinaggio terreno con la speranza del Vangelo e i nostri fratelli defunti. Alcuni di loro ancora sono sulla via della purificazione. Per essi è importante che noi continuiamo a pregare, ad offrire l’unico sacrificio di Cristo che nell’Eucarestia realizza le parole ascoltate nel Vangelo: Nulla di quanto mi hai dato andrà perduto”. Nulla vada perduto, come i frammenti di pane raccolti dopo la moltiplicazione, perché l’Eucarestia è pegno della resurrezione futura. Altri fratelli è sorelle godono già della visione di Dio e con essi ci rallegriamo per la loro sorte, alimentando la speranza che anche noi potremo un giorno condividere con loro tale sorte. Altri ostinati nel rifiuto dell’amore di Dio, per loro libera scelta, sono lontani da lui anche dopo la morte e si sono scavati un abisso profondo e gelido, incolmabile e inaccessibile.  Dio non caccerà mai nessuno da sé ci ha ricordato il Vangelo. “Tutto ciò che il Padre mi dà viene a me e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.

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