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OMELIA IN OCCASIONE DEI VESPRI PER LA SOLENNITA’ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO NELLA GIORNATA DIOCESANA PER IL LAICATO

Alla fine dell’anno liturgico ci viene chiesto che tipo di potere seguire. Quello dettato dalle agende dei signori di questo mondo, o il potere di un uomo nudo crocifisso che dona la vita con libertà e insegna a fare altrettanto. Sta qui lo spartiacque della proposta del Vangelo, di quella regalità che scaturisce dal nostro Battesimo. Abbiamo seguito Gesù fino a Gerusalemme con l’evangelista Marco, rispondendo alla domanda: che tipo di discepolo sono? Assomiglio al giovane ricco attaccato ai suoi beni? Sono attratto da Giacomo e Giovanni, dalla loro pretesa di sedere accanto al Maestro, per far scendere il fuoco sulla terra e cambiare in un istante le cose? Sono come il cieco che per strada lascia il mantello, l’unico necessario e segue il Maestro fino in fondo? Sono come quella vedova che dà tutto, consapevole che il tesoro di Dio non ha bisogno di noi? Sono come il Centurione straniero, che non fa parte dei nostri gruppi, che non ha frequentato le Sinagoghe, ma che proclama con fermezza che Gesù è il Figlio di Dio? La Chiesa, questa nostra Chiesa, oggi risplende del potere di Gesù crocifisso o cerca di salvaguardare, per quanto è possibile un suo potere fatto di compromessi, di recinti chiusi e identitari, di sguardo corto, di autoreferenziale protagonismo, di edifici ben strutturati a scapito di cuori feriti?

Ma Gesù questo potere, per cui ci si vende o si vendono gli altri, non lo ha mai cercato e neppure voluto. Marco fin dall’inizio del suo Vangelo ha parlato di forza attraente che esce dal Maestro di Nazareth (exusia). Questa forza affascina il curioso Pilato che con intelligenza e astuzia, da buon romano, cacciatore di potere, sta al gioco del presunto “Re dei Giudei”. Quando le carte sono scoperte ed il faccia a faccia è al suo vertice, ecco la domanda: “Tu dunque sei Re?”. La risposta di Gesù che è sempre una domanda, rigetta la questione non sulla sua identità, ma sulla capacità che Pilato ha di discernere la verità. In fondo, Gesù sta dicendo al Procuratore romano, che dipende da un re terreno: Quella in tuo possesso è una verità che hai generato tu nel tuo intimo, o ne sei solo il portavoce? Fino all’ultimo Gesù mostra la vera regalità per cui è venuto sulla terra: rivelare l’uomo a se stesso e fargli nota la via di Dio (Cf. GS 22).

È disarmato Gesù, non ha legioni, non ha strateghi, non ha neanche un piano B, ha solo l’amore con il quale serve la nostra umanità fino alla fine. Già! Per lui regnare è servire. Nel cuore incrostato di chi pensa al suo tornaconto, alla sua piccola carriera, al suo futuro, non c’è posto per Gesù, come non ce ne fu a Betlemme, né a Gerusalemme. Muore fuori dalle mura di quella città che uccide i profeti e condanna i giusti. Con il suo Vangelo spalancato da ogni angolo della terra continua a ripetere alla sua Chiesa: “Il mio regno non è di questo mondo”. Gesù aveva già distinto ciò che appartiene a Cesare e ciò che appartiene a Dio. Dunque è vero, il suo è un regno dell’altro mondo ed appartiene a chi tende la mano per un tozzo di pane, a chi è oppresso dalla violenza e dal disonore, a chi invoca giustizia e pietà per i suoi figli e le sue figlie, a chi tace e piange per la gravità del suo dolore, a chi perde la vita per guadagnarla, a chi porta sulle sue spalle l’umanità ferità, a chi dona tutto se stesso. La paura di Pilato, dei Pilato di turno contro la libertà di Gesù è perdente. La sua nudità e povertà sono vincenti. Nulla può resistere all’amore senza misura di chi è testimone fedele. Quante volte questa scena di Gesù di fronte a Pilato torna ancora nei nostri giorni. Quando un potere ingiusto s’incontra con chi cerca i suoi diritti e viene calpestato. Ma Dio continua a scegliere non l’oppressore ma l’oppresso e chiede di riscattare la verità e la giustizia.

Desidero in questo momento essere la voce di uomini e donne della nostra terra di Basilicata, i quali chiedono che venga rispettato il diritto al bene comune dell’acqua. La recente crisi idrica dettata da innegabile incuria delle infrastrutture richiede un esercizio più rigoroso da parte di chi è preposto alla cosa pubblica. Senza rimanere impigliati dalle polemiche e dai fatalismi, si risolva l’emergenza non con tamponamenti provvisori, ma con una lungimirante progettualità, che veda a lungo termine l’uso dei fondi pubblici per una definitiva risoluzione del problema. E questo senza nascondersi dentro strutture istituzionali che alle volte sono delle vere e proprie scatole cinesi, dove l’irresponsabilità e la mancanza di visione di alcuni, ricade sulla sofferenza di molti. L’acqua, sorella acqua, “tanto umile e preziosa” come affermava san Francesco, non sia monopolio privato per il profitto di pochi, ma sia dono libero dato dal Creatore per il bene di tutti.

Ieri ho celebrato l’Eucarestia a Balvano uno dei simboli della terribile ferita provocata nel 1980 dal sisma nelle nostre terre. Al mio ingresso mi ha colpito e commosso l’abbraccio dei più piccoli della Comunità parrocchiale. A loro dobbiamo molto, ai giovani del nostro Sud, soprattutto quelli che crescono nelle arie interne. Non meritano gli scarti o risorse tampone, ma progetti lungimiranti di educazione, di amore al territorio, di progettualità imprenditoriali intelligenti, che garantiscano una futura stabilità e una rinascita dei nostri centri urbani. Nei loro occhi ho visto la regalità di Cristo che brilla ancora nella nostra storia e ne sono grato.

Il Libro dell’Apocalisse che non è il best seller della fine del mondo, ma il fine per cui Dio, il nostro Re ci ama, ha una immagine singolare: I libri descritti sono aperti. I libri di Dio sono tutti aperti, non esistono libri chiusi o segreti. Egli vi scrive i nostri nomi, i nomi dei figli della divina regalità.

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