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OMELIA IN OCCASIONE DEI FUNERALI DI FELICE TRAGICAMENTE MORTO SUL LAVORO

In quest’ora ci sentiamo confusi, smarriti, feriti. I nostri cuori sono carichi di dolore, la nostra intelligenza si pone l’unica domanda possibile. Piccola, insidiosa, a volte deviante: Perché? Per chi ha fede il perché ha un soggetto a cui rivolgersi, non è un perché che si perde nel vuoto, e neppure è raccolto dal nulla. Perché Signore? Perché con Felice dobbiamo assistere ad una vita strappata nella sua giovinezza e da una famiglia che stava mettendo le sue fondamenta. Non accettiamo Signore! Questo e troppo duro per noi. Sembra che le parole non siano sufficienti: “Non importa, perché Dio ascolta i nostri sospiri, conosce i nostri silenzi. Ci raggiunge in quella parte di solitudine interiore che nessun essere umano può raggiungere. (Fr. Roger di Taizé).

Siamo qui davanti a te, con il nostro dolore, con quello di Imma delle piccole Aurora e Nicole; dei genitori di Felice, Nicola e Giuseppina, della sorella Assunta i familiari e tanti amici qui presenti. Ti offrono le loro lacrime e questa domanda di cui mi sono fatto interprete, per loro e per questa nostra comunità qui radunata. Tu ci vieni incontro con la tua Parola che: “È viva, efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio”, e che in questo momento penetra il cuore “fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito”.  Solo tu puoi discernere i pensieri del nostro cuore. In questo momento siamo nudi davanti a te, non ci possiamo nascondere e non possiamo nasconderti il nostro dolore. Riconosciamo il grido dell’uomo che percepisce il suo limite e che s’interroga sul suo profondo disagio provocato dalla morte del fratello. È davanti a noi la domanda dell’uomo credente che nel pieno della crisi di senso, affida a te il suo grido che nasce dal cuore: Perché mi hai fatto creatura mortale, tu mio Creatore? La morte inattesa dell’innocente ci rende ancora più spogli e vulnerabili, ci fa o credenti o atei.

Comincia da qui la nostra strada, non per comprendere oggi la morte di Felice, le cause che l’hanno provocata. C’è chi dovrà indagare su questo e aiutarci a capire che non si può morire di lavoro. Il lavoro deve portare il pane a casa, con la fatica dei giorni, con il sudore della fronte. La morte sul lavoro sta diventando una piaga insanabile. Chi ha le chiavi delle scelte possibili e della responsabilità sostenibile, deve fare del tutto perché questo non accada più. Non siamo qui a comprendere il passato, ma il nostro presente e il nostro futuro. Come cristiani e discepoli di Gesù di Nazareth ci aggrappiamo alla speranza che l’autore della lettera agli Ebrei afferma essere come l’ancora. L’ancora è uno strumento utilizzato dai marinai. Una volta immerso nell’abisso trova uno spazio di sicurezza che rende le navi stabili e agganciate al fondale. La speranza è come l’ancora che suscita la stabilità della fede, essa penetrando nell’abisso delle nostre esistenze, fissa una sicurezza, una stabilità. Continua l’autore della lettera agli Ebrei affermando, che quest’ancora è la croce di Cristo, il quale con la sua passione morte e resurrezione l’ha lanciata in alto, fino a penetrare il cuore di Dio, il Padre suo. Ecco perché, per chi crede in lui, “abbiamo come un’ancora di salvezza”.

Gesù non è il filosofo che ci spiega che cosa è il dolore e la morte. Egli come Dio ha sperimentato nella nostra carne mortale non l’onnipotenza, ma la nostra impotenza. Dio fatto uomo, imparò dalle nostre lacrime l’umana compassione. Egli ha attraversato il dolore e la morte e li ha vinti, donandoci la vita per sempre, la vita dell’Eterno. Solo guardando a Cristo e questo crocifisso, io posso abbracciare quest’ancora di salvezza che giunge al cuore di Dio, Padre di Gesù e Padre nostro.  Il nostro Redentore non ci salva dal dolore e dalla morte, ci salva nel dolore e nella morte. Non ci toglie il dubbio e le ferite del cuore, ci porta con mano dentro i nostri dubbi e le nostre ferite. È nostro compagno di viaggio e le sue mani sono affidabili.

A queste mani ferite dai chiodi della passione, nelle quali riconosciamo il crocifisso risorto, noi affidiamo la giovane vita di Felice fratello nostro, perché oggi viva in lui. Al cuore dell’Altissimo che è la dimora dei poveri e il sostegno dei deboli, affidiamo il nostro dolore e il nostro smarrimento. Perché nessuna cosa al mondo: “Né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.” (Cf. Rm 8,38-39).

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