OMELIA AL TERMINE DEL MANDATO EPISCOPALE – POTENZA 13 MAGGIO 2024
Carissimi,
“rendo grazie al Signore per le notizie ricevute circa la vostra fede in Cristo Gesù” (Col 1,3-4).
È con le parole di san Paolo ai Colossesi che, con animo riconoscente e grato al Signore, prendo congedo dal mio ministero episcopale in mezzo a voi.
Il senso di questa celebrazione non è quello dell’addio o del tirare le somme quasi a voler stilare un bilancio. Non ci accada, infatti, di cadere nella tentazione di Davide quando sentì il bisogno di fare un censimento.
La celebrazione di questa sera, infatti, vuol essere un inno di lode a Dio che nella sua immensa bontà mi ha chiamato alla vita e al ministero sacerdotale ed episcopale. Insieme al grazie vorrei chiedere perdono se posso aver recato del torto a qualcuno. Se ciò dovesse essere accaduto, non è accaduto in malafede.
Quello che sono riuscito a fare l’ho fatto come ho potuto e come ho saputo, deludendo le aspettative di qualcuno, probabilmente: spero, tuttavia, di non aver deluso le attese di Dio.
È stata per me una grazia e un onore pascere, per mandato del Signore, questa porzione del suo gregge.
Oggi non posso che lodarlo per avermi permesso di crescere nella fede insieme a tutti voi: è così che leggo il mio ministero episcopale qui a Potenza come già prima a Matera e a Tricarico. Questi oltre ventisei anni sono stati una peregrinazione nella fede e nella conoscenza del mistero di Cristo prima ancora che esercizio del ministero pastorale.
Non poche sono state le circostanze in cui, prima ancora che essere io a indicare la strada, la testimonianza della fede dei più piccoli mi ha edificato e confermato nella bellezza di appartenere al Signore.
Guardando indietro, sento di fare mie le parole dell’apostolo Paolo ai Corinti: “Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1Cor 2,3-5).
Negli incontri personali ho sempre provato ad avere molta attenzione e rispetto per l’opera della grazia nel cuore di ognuno. Per questo non ho mai imposto qualcosa a qualcuno perché a certe consapevolezze si perviene non perché costretti ma perché convinti e coinvolti facendo sempre appello al proprio senso di responsabilità.
Il mio cuore è nella pace perché non ho cercato il mio interesse. Non mi sono mai tirato indietro di fronte a nulla anche quando mi veniva suggerito di farlo. La porta del mio cuore, prima ancora di quella dell’episcopio, è rimasta e rimarrà sempre aperta: non conservo rancori verso alcuno perché nessuno è alle strette nel mio animo.
Mentre innalzo il mio inno di lode non posso non fare mie le intenzioni di preghiera formulate da Gesù alla vigilia della sua passione quando, pregando per i suoi, chiedeva al Padre: “custodiscili nel tuo Nome” (cf. Gv 17,11), “custodiscili dal Maligno” (cf. Gv 17,15), “consacrali nella verità” (cf. Gv 17,17), “che tutti siano una sola cosa” (cf. Gv 17,21-22).
Credo sia questo il compito che attende questa Chiesa: crescere sempre più nella comunione e nella stima reciproca riconoscendo gli innumerevoli doni di cui il Signore l’ha adornata e la adorna.
In ogni celebrazione eucaristica, dopo aver pregato il Padre nostro, chiediamo al Padre: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Stasera ripeto questa supplica con una consapevolezza diversa perché la vivo così come San Gregorio Magno confidava:
“Molte cose che nella Scrittura da solo non riuscivo a comprendere, le ho capite quando mi sono trovato in mezzo a voi, fratelli miei”.
Parto sapendo di non essere mai sceso a compromesso con alcuno. Per questo, sebbene talvolta abbia avvertito la fatica di certe situazioni, sono nella pace. Sono sereno perché convinto che solo quando non si è cercato nulla si può essere liberi davvero.
In spirito di obbedienza al Signore prima che a una disposizione canonica, da una parte mi dispongo a partire senza voltarmi indietro, dall’altra continuando a tenere nel cuore quanti, finora, ho cercato di portare sulle spalle, uno ad uno.
Intraprendo questa nuova parte della mia vita senza sapere cosa davvero mi attende ma nella fiducia certa che il Signore disporrà ogni cosa perché io possa continuare a generare “l’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 2,3-4).
Mentre ci apprestiamo ad accogliere con vero spirito di fede il successore degli apostoli nella persona di Mons. Davide Carbonaro, vorrei lasciare a ciascuno un invito.
Mi rivolgo ai più piccoli, anzitutto: crescete in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini sotto la guida amorevole dei vostri genitori e dei vostri educatori.
Ai ragazzi dico: non abbiate paura delle vostre turbolenze emotive. Sulla barca della vostra vita il Signore Gesù è di casa per aiutarvi a gettare in lui ogni vostra preoccupazione.
Ai giovani ripeto: siate all’altezza di ciò che il Signore vi ispira senza lasciarvi portar via la speranza da chi ha paura della vostra consapevolezza e della vostra libertà. Non abbiate timore di giocarvi per questa vostra terra che necessità di creatività e audacia.
A voi famiglie rivolgo l’appello ad accogliere e custodire la vita così come il Signore vi chiede di fare ricercando anzitutto il disegno di Dio su voi e sui vostri figli.
Agli adulti chiedo di onorare il compito che il Signore vi affida lì dove si svolge la vostra vita. Ciò che conta non è essere importanti ma non aver vissuto invano e aver onorato l’esistenza di chi ha incrociato i vostri passi.
Agli anziani chiedo di non fermarsi a rimpiangere ciò che non è più ma a trasmettere la sapienza di cui siete depositari e custodi. I più giovani non hanno bisogno del nostro disincanto e del nostro pessimismo ma della pazienza e della tenacia che hanno segnato i nostri giorni.
Ai malati e ai sofferenti chiedo di continuare a tessere con l’offerta della loro vita il volto bello di una Chiesa di cui il Signore si compiace.
Ai cercatori di Dio chiedo di non spegnere mai quell’anelito al vero e al bene che il Signore ha posto nel vostro cuore fino a quando non abbiate la gioia di poterlo incontrare e riconoscere anche grazie alla testimonianza della comunità cristiana.
A quanti sono impegnati nella vita politica chiedo di andare oltre gli interessi di parte e di spendersi per progetti capaci di visioni di ampio respiro che maturano solo dando ascolto a ciò che il Signore ha seminato nel cuore di ognuno di noi.
Ai religiosi e alle religiose chiedo di ricordarci instancabilmente che solo Dio basta e che senza di lui non possiamo far nulla.
Ai seminaristi chiedo di non scoraggiarsi e di non aver paura di osare sulla parola del Signore che chiede di prendere il largo.
Ai sacerdoti ripeto quello che diceva l’allora Card. Montini ai preti ambrosiani: “il Sacerdozio o è vissuto ad alta temperatura, ed è una bellissima cosa, o è vissuto in una temperatura calante e tiepida ed è una pesantissima cosa”. Grazie per come mi avete accolto e per il tratto di strada condiviso. E perdonate ciò che posso aver trascurato sebbene non volutamente.
Il Signore ricolmi del centuplo accordato ai suoi servi fedeli quanti, con lealtà, con assiduità e spirito di abnegazione, mi hanno aiutato a servire questa Chiesa e ad amarla “fino alla fine”.
A tutti assicuro il mio ricordo all’altare, chiedendo a San Gerardo di custodire anche me sotto la sua protezione.
A Maria Madre del Verbo incarnato e che oggi ricordiamo con il titolo di Fatima, chiedo di sostenere il nostro sì perché il fiat pronunciato con tanta generosità, diventi il Magnificat che innalziamo in ogni momento della nostra vita.
Se qualcosa è stato realizzato, il merito non è mio ma di tutti. Sono consapevole che tanto resta ancora da fare. Prego il Signore di portarlo a compimento mediante l’azione pastorale del mio successore, il carissimo Mons. Davide Carbonaro, per il quale continuerò a pregare sostenendolo con la stima e l’affetto fraterno.
Sabato prossimo sarò con voi non per consegnare questa Chiesa come fosse una cosa di cui disfarsi ma per affidarvi al cuore del nuovo pastore che vi prego di amare più di quanto abbiate amato me. Dove c’è il vescovo, infatti, lì c’è la Chiesa.
Scenderò da questa cattedra senza nostalgia del ruolo. Non ho paura di fare un passo indietro e di vivere diversamente l’esercizio del mio ministero. Chiedo al Signore soltanto di essere trovato fedele fino alla fine.
E ora, carissimi,
permettetemi di salutarvi con le parole di San Francesco d’Assisi mentre prendeva congedo dai suoi:
“Io ho fatto la mia parte. Cristo vi insegni la vostra” (FF 1239).