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AMICI PER SEMPRE – IN MEMORIA DI DON ANTONIO PETRONE

Quando, poco dopo aver appreso la notizia, l’Arcivescovo mi ha chiesto di prendere la parola all’inizio della celebrazione esequiale come Vicario episcopale, ho provato, senza riuscirci, a declinare l’incarico a motivo del legame che c’è sempre stato tra me e Antonio sin da quando, insieme a don Marcello Corbisiero, vivevamo la parrocchia come la nostra seconda casa se non addirittura – senza nulla togliere all’affetto dei nostri cari – la nostra casa più vera. Qui approdavamo appena liberi da impegni di casa o di scuola, al mattino per aprire la chiesa e partecipare alla messa delle 7.30 o dopo pranzo: giornate intere accanto a un prete vecchio stampo tutto ravvolto nella sua tonaca nera, il suo basco e il suo sigaro.

Alla scuola di don Vito Matteo abbiamo respirato non le strategie pastorali oggi tanto in voga ma il clima di casa, appunto, il sentirci riconosciuti, presi sul serio sebbene fossimo solo ragazzi, proprio come i primi discepoli con il Signore Gesù dei quali l’evangelista Giovanni annota: “andarono e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui” (Gv 1,39).

Quante volte, proprio Antonio, in qualche colloquio avuto ancora di recente mi ripeteva: “Ma ci pensi che quando bambini abbiamo iniziato a frequentare don Vito, lui aveva già l’età che abbiamo noi adesso?”. E il riferimento era al nostro essere già cinquantenni. Ed è stata proprio la generosità con cui ci siamo sentiti accolti a far germogliare il seme della vocazione che, uno dopo l’altro, ci ha portati in seminario, passando così da un don Vito ad un altro, don Vito Telesca che di Antonio fu anche padrino di Cresima.

Accanto al nostro parroco trascorrevamo le estati da seminaristi, figli di quanto sosteneva l’allora nostro pastore Mons. Vairo, che cioè il seminario non fosse un luogo ma un tempo: perciò, continuavamo i ritmi della preghiera e degli impegni anche d’estate (il coro ligneo dietro l’altare, ne avesse la facoltà, potrebbe testimoniare tanto a riguardo).

I ricordi sono innumerevoli come si può ben immaginare ma ce n’è uno che in modo particolare ha sempre caratterizzato Antonio: l’incapacità di dir male di qualcuno. Riusciva sempre a scusare l’altro – talvolta fino a indisporre, quasi – anche quando la responsabilità era evidente. E questo profumava di vangelo perché, proprio come fa il Signore con noi, si può stigmatizzare l’errore ma mai chi sbaglia.

Una larghezza d’animo come pochi sebbene mi ripetesse che io ero più generoso di lui. Un confratello mi ha confidato: “voleva più bene a te che a se stesso”. E lo so molto bene. A legarci, infatti, per usare le parole di san Bernardo in occasione della morte del fratello Gerardo, monaco anch’egli, non era soltanto il reciproco affetto, “ci unì maggiormente la società dello spirito, il consenso degli animi, la conformità dei sentimenti”. Ad aver unito le nostre storie, “non la consanguineità, ma la concordia”, come scrive ancora san Bernardo.

E all’improvviso, l’incredulità e lo sconcerto nell’apprendere della sua dipartita e nel ritrovarmi a comporre la sua salma e a rivestirlo degli abiti sacerdotali: gli ripetevo dentro di me che mi aveva fatto un brutto scherzo. Pareva soltanto che dormisse, proprio come tante volte mi era capitato di vederlo quando ci accadeva di condividere la camera. Memore ancora della sua prima Messa, mai avrei immaginato di preparare il suo corpo per la liturgia del cielo dove sono sicuro il Signore lo ha già introdotto oltre che per la Sua grande misericordia, anche per la rettitudine che ha sempre caratterizzato Antonio.

Quando ripenso alla nostra amicizia c’è una frase che mi ritorna in mente, quella che san Gregorio Nazianzeno scrive a proposito della sua amicizia con san Basilio: “Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo”. E lui questo lo ha sempre fatto con me fino a pochi giorni fa quando l’ho preso persino in giro perché mi aveva telefonato per chiedere il permesso di celebrare quattro messe proprio ieri dovendo sostituire più confratelli. Gli dicevo: ”Ti poni tutti questi problemi mentre fai del bene ai confratelli?”. E lui, canzonandomi, mi diceva: ”Vedi che mi sto rivolgendo al superiore non all’amico”. E qui la sua immancabile risata tanto contagiosa.

L’ultima volta che l’ho visto di persona è stata in occasione dello scorso ritiro del presbiterio quando, venendo a scusarsi perché non si sarebbe fermato a pranzo, ho ancora una volta scherzato con lui dicendogli che il motivo vero era il fatto che non potesse rinunciare alla “meditazione pomeridiana”, facendo riferimento, ovviamente, al sacro riposo di cui a fatica faceva a meno. E lui, come ogni volta, ripeteva che chissà perché tutti fossero credibili mentre nessuno credeva ai suoi impegni di tipo pastorale. Ovviamente ridendo in modo sornione.

In questi giorni mi ha telefonato più volte e, lo confesso, la cosa mi ha anche preoccupato. Domenica scorsa ha celebrato il suo compleanno, 58 anni, e martedì avrebbe voluto che io e Marcello fossimo suoi ospiti. Purtroppo, un mio impegno con i giovani del Propedeutico non me lo ha consentito. Spero tanto di poter sedere con lui un giorno a quella mensa alla quale il Signore, sin da ora, sta passando a servirlo per il suo essere stato servo buono e fidato come uomo, come cristiano e come prete.

Grazie Antonio per la tua amicizia, per quello che sei stato e continui ad essere non solo per me ma per tutti noi, in primis per la carissima Carmela, tua madre, e per i tuoi fratelli e parenti tutti. Ah, non te l’ho mai detto apertamente ma tu di certo lo hai sempre saputo: se all’epoca decisi di entrare in seminario fu anche per la tua bella testimonianza, sebbene fosse solo quella di un ragazzo come me.

La Chiesa, la nostra Chiesa diocesana, da oggi è più povera. Ci conforta solo il sapere che ora svolgi il ministero dell’intercessore presso il Padre mentre contempli le cose come sono e non più come in uno specchio come, invece, accade ancora a noi.

E come ripeteva santa Teresa di Lisieux, “passa il tuo cielo a far del bene a tutti noi”.

don Antonio Savone

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