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OMELIA NEI NOVENDIALI IN SUFFRAGIO DI PAPA FRANCESCO

“Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono” (Sal 102).

Le parole del Salmo ci aiutano a raccogliere quella intuizione profetica e magisteriale che ha indirizzato il pontificato di Papa Francesco. Nel Vangelo è possibile fare esperienza della tenerezza di Dio, la sua gratuità e la sua misericordia manifestate nel Figlio Gesù morto e risorto per noi. Solo a partire da questo presupposto possiamo comprendere i gesti, le parole, le intuizioni a volte anche scomode, per alcuni estemporanee, di questo profeta della contemporaneità. Niente come la “rivoluzione della tenerezza di Dio”, può dire all’uomo e alla donna del nostro tempo il segreto del cuore divino, il suo progetto di amore rivelato in Cristo e custodito nel patrimonio dottrinale della Chiesa. La Chiesa è custode nei suoi gesti e nelle sue parole di questo mistero di prossimità che è al cuore dell’Incarnazione. Direbbe Giovanni nella sua lettera che: “Il messaggio udito da lui, dal Figlio di Dio, noi ve lo annunciamo”.

Oggi siamo qui per commemorare un Pastore innamorato della luce dell’Altissimo, quella che illumina ogni uomo che viene sulla terra. Papa Francesco ci ha aiutato ad illuminare parti oscure del cuore umano. La franchezza della parola evangelica nella quale ha posto la speranza per il futuro dell’umanità, ha scardinato convinzioni apparentemente immutabili, modelli culturali legati allo scarto e alla forza avvincente del potere, che da sempre rifiuta i poveri e rende dipendente l’umanità con la tecnocrazia e le autoreferenzialità nazionalistiche. Solo Dio sa cosa c’è nel cuore dell’uomo e Papa Francesco ha invitato la Chiesa ad iniziare processi per entrare dentro questo cuore ferito, inquieto, diviso dal peccato il grande inganno, che spinge l’umanità a salvarsi da sola e senza Cristo, senza la forza dell’alterità e della fratellanza universale. Papa Francesco non ha sopportato immobilismi, stagnazioni istituzionali, ha chiesto di camminare insieme: pastori e fedeli, recuperando una delle dimensioni ecclesiali che ha nella sinodalità, la forza della strada comune dietro a Cristo Maestro e Signore, condotti dal soffio dello Spirito che dice novità alla Chiesa del nostro tempo.

Uscire, incontrare, abbracciare, sono verbi pieni di Vangelo, che hanno trovato la loro coniugazione nell’azione pastorale di Francesco e che abbiamo visto ancora espressi nella loro semplicità, durante l’ultimo tratto del suo pontificato, segnato dalla malattia.

Vogliamo stasera unirci al rendimento di grazie e di lode che Gesù fa scaturire dal suo cuore, mentre ha di fronte i piccoli, coloro che si fidano e si abbandonano, al Padre suo. L’imperativo con cui Gesù chiede a tutti noi di venire a lui, di caricarci della sua tenerezza e della sua mitezza, ha segnato come riflesso questo pontificato. Oggi, pur sperimentando la mancanza del Pastore, non rimaniamo orfani del Vangelo che, come Paraclito, difensore e consolatore, accompagna la Chiesa fino al ritorno di Cristo, le cui parole non passeranno. E nell’attesa che lo Spirito Santo ci doni il nuovo “Dolce Cristo in terra”, come amava ripetere Santa Caterina da Siena, preghiamo perché non manchi alla Chiesa la gioia di una guida sicura, e al nuovo Pastore la forza e l’affetto del suo gregge. Perché dove è lo Spirito lì è la Chiesa.

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