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OMELIA GIOVEDI’ SANTO MESSA CRISMALE

Le ultime ore di Gesù sono intrise di profumo crismale. Da quello che la donna versa sul suo corpo da preparare per la sepoltura, a quello che la Chiesa presenta oggi perché sia segnata ancora per noi l’azione regale profetica e sacerdotale del Signore unito al suo popolo. Quel buon profumo di Cristo, memoriale della resurrezione, giunge fino a noi e riempie di grazia e fecondità le nostre assemblee.  Questa celebrazione è epifania della Chiesa, partecipe dell’unzione di Gesù: il Figlio di Dio. La Bibbia conosce unzioni con olio, segno della forza e della trasparenza, frutto di terre aride bruciate dal sole. L’olio versato da mani sacerdotali e profetiche, riservò per l’Altissimo, luoghi e persone, nell’attesa che questa unzione, rendesse manifesto Dio stesso, la sua forza e il suo Spirito. Non più la voce del silenzio che suggerisce parole profetiche ed è sussurro al cuore. Né la parola nascosta nei segni che rivelano la sua indicibile presenza; ma la manifestazione della bellezza e luminosità del volto divino, che splende nel Messia Gesù: “Il più bello tra i figli dell’uomo, sulle cui labbra è diffusa la grazia” (Sal 44,3).

Nella Sinagoga di Nazareth dove il Dio fatto carne per noi uomini e per la nostra salvezza, ha accolto il profumo della Scrittura per trent’anni, lo Spirito scende come mistica unzione. Non più con parole profetiche, ma attraverso il Figlio di Dio che parla nell’oggi della storia (Eb1,1ss). Lo Spirito del Signore è sopra di me. Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato (Cf Lc 4). Io e il Padre mio siamo una cosa sola (Gv 10,30). Su questa verità di fede, germogliata dalla Parola fatta carne, i Padri del Concilio di Nicea, millesettecento anni or sono, conformi alla voce dello Spirito che assiste con la sua unzione la Chiesa, affermarono che il “Figlio è della stessa sostanza del Padre”. Questa professione di fede generatrice di unità, giunge a noi come una ventata dello Spirito, come un sussulto del cuore, come racconto del Dio con noi il cui nome è profumo (Ct. 1,3).

Cari fratelli e sorelle la benedizione degli oli e la consacrazione del crisma, è memoria viva della divina umanità di Gesù, che noi professiamo. L’olio misto a profumo sugellato dal soffio, ricorda per via sacramentale lo Spirito che scende sul Messia, epiclesi di speranza per questa nostra fragile umanità, via di guarigione per le membra dolenti della Chiesa, liberazione dal male per i testimoni del Risorto. Con questi oli, soprattutto noi presbiteri, siamo chiamati a servire la Chiesa, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, ad aprire gli occhi ai ciechi, perché sia conosciuta la verità e sia effuso nei cuori degli uomini e delle donne lo Spirito di grazia: “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13).

Ci è chiesto di conservare e custodire questi oli, cioè di custodirne continuamente la memoria nel popolo di Dio, perché fluisca come un torrente di grazia e di amore la presenza del Signore tra noi. Sono il sacramento della cura di Gesù per i suoi figli e le sue figlie, e i nostri gesti nei sacramenti della Chiesa, sono l’amorevole cura e vicinanza salvifica che il Signore attraverso la sua azione in noi, riserva per il suo popolo.  

Oggi nasce dalla fonte viva del mistero pasquale, la vocazione unitaria del popolo sacerdotale profetico e regale, dal quale alcuni di noi vengono scelti, perché sia compiuto nei sacramenti il ministero della grazia e il memoriale della Pasqua di Gesù morto e risorto per noi. Oggi trova pienezza la nostra storia in colui che è Alfa e Omega, principio e fine di tutte le cose. Oggi innalziamo il cantico nuovo all’Agnello immolato per noi, che riempie di speranza il cuore umano.

Dell’olio degli infermi e dei catecumeni si afferma la benedizione di Dio. La sua grazia discende sull’umano esistere perché la gratitudine per l’azione salvifica, risalga a lui piena di buoni frutti e di scelte coerenti con il Vangelo. Quell’olio, forza nella nostra debolezza e fragilità, ci riempie del vigore pasquale del divino Redentore. Del crisma si dice che è consacrato, come il Messia da cui prende il nome, come il popolo di Dio. Consacrare significa mettere a parte per Dio. Tutto intero il popolo santo è la parte di Dio e come figli ed eredi, custodi del suo amore riversato nei nostri cuori. La sera della cena pasquale Gesù rivela ai suoi che egli li “consacra nella verità” (Cf Gv 17), cioè li mette a parte per il Padre suo, quali custodi del buon deposito della fede da trasmettere nella successione apostolica. Il cammino sinodale ricorda questa vocazione essenziale della Chiesa manifestata nella profonda relazione di unità tra Pastori e Fedeli che nel comune ascolto dello Spirito, professano l’unica fede per questo nostro tempo carico di complessità e indifferenze.

Sappiamo che l’uomo è un essere in relazione e che la Chiesa è chiamata a valorizzare tale dimensione, soprattutto in questo tempo giubilare, mettendo in contatto le persone fra loro, facendoli sentire fratelli e portandoli all’incontro con Cristo che ci riconcilia con Dio e risana i cuori affranti.  Oggi in particolare sentiamo la necessità di estendere questa peculiarità ai rapporti più allargati, dei mondi, delle culture e degli stati, affinché diventi più importante guarire che ferire, sanare le relazioni invece che dividerle o perfino uccidere, fare la pace invece che la guerra.

Mentre in questi giorni santi eleviamo lo sguardo a colui che è stato innalzato e trafitto per noi, l’Unto del Padre, il Solidale con la nostra carne mortale, custodisca, santifichi e dia pace alla sua Chiesa

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