SALUTO IN OCCASIONE DEL CONVEGNO “LA MENTE IL CUORE LE MANI” PER CELEBRARE I CENTENARI DI SAN TOMMASO D’AQUINO. ISTITUTO TEOLOGICO DI BASILICATA

Desidero portare il mio saluto mentre si apre questa giornata di riflessione offerta dalle celebrazioni centenarie di san Tommaso d’Aquino il Doctor communis, una “risorsa per il bene della Chiesa di oggi e di domani come afferma Papa Francesco (Lettera per il VII Centenario della Canonizzazione). Rinnovo la mia gratitudine al Prof. Don Nicola Soldo Direttore dell’Istituto Teologico di Basilicata al senato accademico insieme al corpo docenti. Saluto con deferenza Il Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e quanti tra i docenti prendono parte a questa nostra assise. Sono grato al Direttore del Dipartimento dell’Università di Basilicata per la collaborazione nella costruzione di questa memoria dell’Angelico Dottore. Saluto con affetto tutti gli alunni dell’istituto e i giovani di alcuni licei di Potenza che partecipano a questo evento commemorativo. Saluto infine, tutte le autorità e l’esimio pubblico qui presente.
Le celebrazioni centenarie offrono l’opportunità di poter riprendere studi, dialoghi, fare il punto magari su alcune situazioni ermeneutiche perché cresca la conoscenza. Ma mi piace partire da un indirizzo che mi sembra l’orizzonte dal quale si dipana l’intuizione filosofica e teologica dell’Angelico: “Contemplari et contemplata aliis tradere”, soleva ripetere San Tommaso d’Aquino a se stesso ed ai propri confratelli. E siamo soliti ancora noi oggi udirlo all’interno delle nostre istituzioni accademiche. Auspico, che la stessa intuizione, continui a vivere ancora oggi non solo nella “prassi linguistica” ma soprattutto nella sua fecondità semantico-dottrinale. L’esercizio dello studio e della ricerca non è fine a se stesso, ma entra dentro quella sinfonia che il cuore la mente le mani rendono sempre più l’umano investigatore del divino, mentre il divino getta una luce nell’umano esistere. È nel principio dell’Incarnazione che si percepisce, come il binomio fede e ragione, non è separato in casa, ma la speculazione tomista lo ripropone nei termini di “relazione nuziale”. È nel mistero del Verbo incarnato che l’intelligenza sposa il cuore e Dio pensa con parole e gesti umani ed è pensato ed amato tale. San Tommaso sarebbe profondamente in sintonia con il proemio di Dei Verbum del Concilio Vaticano II: “Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione (Dei Verbum 1). Proviamo a dirlo con le parole di Tommaso seguendo il suo pensare.
Presento qui un breve passo della Summa Theologiae, e precisamente, all’interno della sua Tertia Pars, la q. 40, a. 1, laddove l’Aquinate si domanda “Se Cristo avesse dovuto vivere in mezzo agli uomini o condurre una vita solitaria”. L’interrogativo, apparentemente piuttosto estrinseco rispetto al nostro tema, rivela tutta la propria pertinenza nella seconda obiezione, la quale procede attraverso due tappe ben distinte:
La prima tappa. Cristo, nella sua vita mortale, doveva vivere nella maniera più perfetta. Ma la vita più perfetta, come è ben dimostrato da Aristotele e confermato dall’autorità delle Scritture [S. T., III, q. 182, aa. 1-2], è certamente quella contemplativa. Cristo dunque, durante la sua vita mortale, doveva vivere secondo la vita contemplativa.
La seconda tappa: Cristo -come appena dimostrato- durante la sua vita mortale doveva vivere secondo la vita contemplativa. Ora, secondo quanto afferma Osea, la vita contemplativa suppone in primo luogo la solitudine: «la condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore». Si conclude dunque che Cristo, durante la sua vita mortale, doveva condurre una vita solitaria.
Riassumiamo l’obiezione, pro beneficio claritatis, con le parole dello stesso Tommaso:
Cristo, durante la sua vita mortale, doveva vivere nella maniera più perfetta. Ora la vita più perfetta è quella contemplativa […]. E per la vita contemplativa è richiesta soprattutto la solitudine […]. Quindi Cristo doveva condurre una vita solitaria.
Nel rispondere alla presente obiezione, l’Angelico fa leva sulla distinzione tra due “angolature prospettiche”: simpliciter e secundum quam. La distinzione tipicamente scolastica, che prima facie può indubbiamente disorientare è, di fatto, di una limpidezza concettuale impareggiabile. Essa ci permette infatti di capire che, sebbene assolutamente parlando, ovvero simpliciter, la vita contemplativa è certamente superiore a quella attiva, allorquando si consideri la vita attiva secundum quam, ovvero in quanto ordinata alla trasmissione delle verità contemplate, la vita attiva medesima risulta superiore e più perfetta di quella soltanto contemplativa.
Scrive Tommaso: “Di suo la vita contemplativa è superiore a quella attiva occupata in attività materiali. Ma la vita attiva, con la quale uno, predicando e insegnando, comunica agli altri le verità contemplate è più perfetta della vita in cui si contempla soltanto, perché essa presuppone la sovrabbondanza della contemplazione”.
E ancora: “L’insegnamento e la predicazione […] è da preferirsi alla semplice contemplazione. Come infatti illuminare è più che risplendere soltanto, così comunicare agli altri le verità contemplate è più che contemplare soltanto.
È proprio in ragione di questa superiorità della vita attiva nella missione di apostolato della verità, che Cristo non scelse la vita solitaria, ma vicina ad ognuno che potesse giovarsi, nell’ordine della salvezza, del suo insegnamento. È ad imitazione di Cristo, dunque, che sollecito ciascuno di voi non solo a contemplari ma soprattutto a contemplata aliis tradere!