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OMELIA IN OCCASIONE DEL CONVEGNO DIOCESANO E DEL MANDATO AGLI OPERATORI PASTORALI – 28 SETTEMBRE 2024

“Fossero tutti profeti nel mio popolo!”. La risposta di Mosè frena l’entusiasmo del giovane Giosuè, come d’altronde quella di Gesù frena la pretesa del giovane Giovanni. In ambedue gli episodi, emerge un noi che rafforza identità e appartenenza, gesti e parole. Tutto questo va custodito, conservato non immischiato. Signore dove abitano i profeti? Solo nel recinto del sacro? Là dove si compiono le opere buone? Dove si giudica secondo le regole? La franchezza della tua Parola ci rammenta che la profezia non ha schemi, confini, non esclude ma include. Forse oggi più che mai la Chiesa del nostro tempo, è chiamata a cercare Eldad e Medad fuori dai suoi recinti, dove la forza della solidarietà ha il sapore dell’autenticità evangelica. Dove la fatica dell’amare e del vivere relazioni autentiche non ha lo stigma della perfezione, ma si nutre di rispetto e donazione reciproca. Là dove uomini e donne sono capaci di generare il miracolo del sorriso in chi è segnato dal dolore e dalla morte. Il nome di Gesù nel quale ogni ginocchio si piega in cielo in terra e sotto terra, non è per pochi, buoni e santi, ma per tutti. E in tutti risuona la sua signoria liberante e amante. Cosa è più importante, affrancare l’uomo dal male, o l’esattezza canonica e liturgica con il quale questo segno della presenza di Cristo nella storia avviene? Allora è per noi e non contro di noi, ogni uomo e donna che incarnano le esigenze del Regno, che non si fermano alla teoria del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma lo donano fino all’ultima goccia, come Gesù, fino all’ultima goccia del suo sangue. La ricompensa del bicchiere donato non è la riconoscenza della persona a cui si dona. Di più, è riconoscere nel fratello il volto del Signore, l’unica ricchezza che non può essere confusa con l’oro e l’argento destinati a perire. Quest’unico tesoro la Chiesa accumula. In questi giorni abbiamo fatto l’esperienza del noi. La Chiesa si riconosce dentro una comunità concreta. Abbiamo pregato, ascoltato, ci siamo ascoltati, abbiamo ascoltato lo Spirito che fa germogliare la sua presenza nella tenda dell’incontro. È lui che parla, distribuisce i ministeri e i servizi, forse alcuni li stiamo riconoscendo in noi, altri sono già in atto. Forse dalle nostre tende un po’ più allargate, come direbbe il profeta Isaia (Cf. Is 54,2), lo Spirito che è creatività, ci sta mostrando altri spazi, altri cuori bisognosi di cura e attenzione. Come ci può aiutare la Parola ascoltata a non far diventare proprietà di singoli o di pochi il dono libero dello Spirito? Come in questo tempo in cui emerge il noi sinodale, le Chiese e la Chiesa tutta, possono offrire le loro mani per condividere i doni che vengono dall’alto; i loro piedi, perché il cammino verso il Regno sia spedito e non ingessato; i loro occhi, perché ci si possa accorgere del grido dei poveri dei piccoli ed avere compassione. Ci vogliono mani, piedi e sguardo per offrire un bicchiere d’acqua ad uno di questi fratelli più piccoli. Ci vogliono orecchie che giungano al cuore prima che la voce degli ultimi giunga davanti a Dio. Eccola la forza del noi sinodale ed ecclesiale. Non ci è detto di rimanere in circolo, dentro i nostri cenacoli, dentro i nostri gruppi spesso autoreferenziali e incapaci di rigenerarsi, ma muovere passi profetici e sguardi di speranza dentro di noi e intorno a noi. Quanta fatica a volte a comprendere che, pur essendoci nelle nostre comunità vari percorsi, associazioni, gruppi, il cammino dietro il Signore è unico. Fu la stessa fatica di Gesù nel far comprendere a Giovanni e ai discepoli che lo seguivano verso Gerusalemme, che la strada per il compimento della Pasqua è unica, non ci sono scorciatoie. Si può rimanere affascinati da Gesù anche fuori la Chiesa, si può coltivare e custodire la Parola anche senza le nostre strutture. Non glielo impedite direbbe Gesù, ma andate in cerca di questi semi della mia presenza, rincorrete quei frammenti dello Spirito posati sugli Eldad e Medad del nostro tempo, perché chi non è contro di noi e per noi. Non è complicato l’annuncio del Vangelo, Gesù lo immagina come un bicchiere d’acqua offerto ad un piccolo, ad un cercatore dell’amore del Regno. Papa Francesco ha più volte affermato come i cristiani nel nostro tempo sono delle oasi, delle anfore poste nella storia perché possano offrire l’acqua fresca del Vangelo, il vino nuovo della speranza, l’olio che fa brillare la dignità umana. Che abisso tra il dono e lo scandalo! Facciamo “scandalo” quando rimaniamo chiusi dentro le nostre strutture a coltivare una cattolicità asfittica, dove definiamo cattolici quei segni, linguaggi, simboli, cerimonie nei quali Gesù ed il suo Vangelo non ci sono più. Li abbiamo svuotati della forza dell’annuncio, soprattutto per le giovani generazioni. Corriamo a riparare strutture del passato dimenticando a volte che occorre riparare il cuore dell’uomo del nostro tempo. Vogliamo a tutti i costi il nostro prete, la nostra identità, la nostra piccola contrada, senza pensare che milioni di cristiani vivono nel mondo con una celebrazione dell’Eucarestia una volta al mese quando va bene. Viviamo divisione a volte profonde tra di noi, pensando che andrà tutto bene quando avrò risolto le mie relazioni ecclesiali a forza di Diritto Canonico. E tu, Gesù, che sai cosa è dentro il nostro piccolo cuore, passi ancora tra noi e ci offri un bicchiere d’acqua, perché siamo i tuoi piccoli, quelli per i quali ai donato la vita. Ma hai anche altri piccoli da dissetare in mezzo a questa umanità che soffre l’arsura dell’egoismo, dell’invidia, della competizione, della lotta fratricida. Tu sei lì ad offrire un bicchiere d’acqua nei campi dove la guerra rade al suolo la vita di uomini e donne, bambini e bambine; dove solo tu puoi dare risposte di vita a chi offre il salario della morte. Nel tuo linguaggio parabolico e paradossale perché chi ha orecchie per intendere, usi il verbo tagliare. Tagliare è l’inizio del processo di conversione. Il cammino sinodale ci aiuterà a tagliare con un passato che non c’è più; con quelle forme di appartenenza che ci isolano dagli altri; con lo sguardo giudicante su noi e gli altri che ci ripiega in una falsa e a volte comoda rassegnazione. Il Cammino sinodale ci restituisce mani alzate e disarmate che s’innalzano al cielo, che guariscono le ferite dei poveri e degli ultimi. Piedi in cammino che con passo evangelico, seguono Gesù ovunque egli vada. Occhi per provare compassione e leggere i bisogni della nostra gente. Signore, eccola la nostra Chiesa: bella perché amata da te, piccola perché desidera la piccolezza del Vangelo, santa perché nutrita da te che sei il Santo.

+Davide Carbonaro O.M.D.

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