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TEOLOGIA IN DIALOGO

L’Istituto teologico di Basilicata ha conferito nei giorni scorsi il  titolo accademico di baccalaureato ai primi laici iscritti ai corsi.  Affiliato alla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale con sede a  Napoli, il dipartimento potentino, ha aperto l’anno scorso  ai laici ; una iniziativa salutata  sul piano regionale come una svolta non solo nella pratica accademica ma anche nella pastorale della cultura che impegna la Chiesa in quanto tale.

Di Edmondo Soave

Fino all’anno scorso la teologia era ”roba da preti”, quattro anni di corsi frequentati di fatto solo dai seminaristi, impegnati nel percorso  finale della propria  formazione sacerdotale. Poi la svolta. E non  solo per una questione e di numeri, quanto piuttosto  come esito di una riflessione pastorale partita dal Concilio, che impegna i professionisti cristiani nei rispettivi ambiti di vita . E col passare del tempo ha assunto i contorni di una  risposta ad un bisogno culturale  specifico, sempre più acuto nella  città secolare strutturata e pianificata sulla razionalità strumentale, che evita per forza di cose le domande di senso che toccano comunque l’esistenza di tutti. Non è un caso che della cinquantina di iscritti, oggi, all’Istituto teologico potentino, ben la metà sia costituito da laici, professionisti , adulti, per lo più  normali padri e madri di famiglia che hanno abbracciato lo studio della teologia soprattutto per coltivare  un dialogo personale, con le ovvie  ricadute nel sociale, con la modernità. E due di loro, insieme a sette seminaristi, hanno discusso davanti alla commissione di esame,  la settimana scorsa, le rispettive tesi di baccalaureato. Si tratta solo per la verità del primo titolo accademico, la licenza ed eventualmente il Dottorato vanno conseguiti altrove.

  Si dirà che la novità è solo apparente perché per insegnare religione nelle scuole è da sempre richiesto, dallo Stato e dalle Diocesi, un diploma specifico. Ma è l’impostazione degli studi che è notevolmente diversa. L’Istituto Superiore di Scienze religiose (con sede a Matera) ha come obiettivo appunto, soprattutto l’insegnamento, e pertanto l’impianto degli studi è  per lo più  di natura  pastorale con  largo spazio alla sociologia . L’Istituto Teologico, invece, dovrebbe, almeno nelle intenzioni, puntare principalmente sulla filosofia e  sulla  dogmatica  per provare a strutturare, negli studenti , le basi  di una antropologia cristiana che stimoli una riflessione  e dia contenuti al necessario dialogo con la modernità, anche in ambito locale. La frattura, infatti, tra fede e  cultura,  che Paolo VI stigmatizzava, già negli anni ’60, come “il dramma della nostra epoca”, è  ora sempre più evidente anche nel Mezzogiorno , dove qualcuno continua a pensare che la secolarizzazione possa essere fermata o “ammorbidita” dalla tradizionale religiosità popolare, “continuando a fare come si è sempre fatto” per usare le parole del  richiamo del Papa  in proposito.

 Ed infatti, una delle due tesi “laiche ”discusse  la settimana scorsa riguardava, sarà un caso, un tema tra i più spinosi del dibattito pubblico, oggi, e non solo in Italia: “La consulenza di etica clinica nella fase terminale di vita”.  Il dialogo, pertanto, col mondo   secolare  è divenuto una necessità impellente che se ne sia o meno consapevoli. E non  a caso il Direttore dell’Istituto  Teologico , don Nicola Soldo, ha annunciato un percorso di confronti con l’Università di Basilicata sui due temi fondamentali e  di comune interesse: l’antropologia e la bioetica da un lato, e la letteratura  e l’archeologia  cristiana dall’altro.

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